Il giornalismo dopo Wikileaks

Tutto ciò che rende un cittadino informato lo rende necessariamente anche più esigente. Il cittadino che ha imparato a conoscere, infatti, pretenderà di sapere sempre più e non si accontenterà di tornare a casa a mettersi in pausa dinanzi la televisione, oggi, il cittadino, vuole che quel flusso di informazione acquisita continui e s’infittisca. D’altronde, chi mai rinuncerebbe coscientemente a capire come funziona il mondo quando ha la possibilità di vivere un pezzo di storia in diretta!?

Il terremoto Wikileaks ci riporta, in questo senso, a quel ‘primordiale’ senso di democrazia dell’informazione che, da tempo appariva, ormai, evidentemente monco.

Internet apre la porta del potere, trasporta i materiali alla velocità di scorrimento di un fiume in piena ma, per capire, serve di più. Perché 250 mila files e 250 milioni di parole sono, di fatto, una massa di dati illeggibili se poi non passano al vaglio dell’attenta selezione, di una gerarchia tra i fatti, di una messa in relazione con le altre vicende, del recupero degli antecedenti e l’individuazione dei protagonisti e degli interessi in gioco.

Ed è proprio qui che anche le imprescindibili nuove tecnologie si consegnano nelle mani del giornalismo chiedendogli di rendere i contenuti comprensibili trovando le chiavi giuste per decifrarli.

Il diritto del cittadino di conoscere e sapere è un diritto assoluto, in democrazia, ma non è un diritto cieco. E infatti i giornali usano la propria responsabilità nella selezione dei materiali.

Il Guardian, ad esempio, tra i primi tre quotidiani a pubblicare i cables di Wikileaks, ha deciso di non pubblicare l’elenco delle infrastrutture occidentali che gli Usa considerano a rischio di attacchi terroristici. Perché, come scrive Moreno, il direttore de El Paìs, “tra gli innumerevoli doveri di un giornale non c’è quello di proteggere i governi da situazioni imbarazzanti” se le situazioni anche d’interesse per i lettori.

La vicenda Wikileaks, insomma, ci insegna che bisogna ritornare a praticare quel buon vecchio giornalismo in cui non era di certo il generalismo o la tuttologia a fare la vera differenza ma, piuttosto, la memoria storica della conoscenza approfondita. Tutto questo, è ovvio, dovrà, però, fare i conti con la possibilità delle nuovi fonti, non più solo cartacee o umane ma dal 2010 anche digitali.

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